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Stipendi pubblici

E se si cominciasse a premiare i migliori?

La spesa complessiva dello Stato per i dipendenti pubblici non e' alta rispetto agli altri Paesi; il problema e' che in Italia si spende male.

In un interessante articolo firmato da Maurizio Grosso, pubblicato su La Notizia giornale, si evidenzia come nel confronto con gli altri Paesi europei, l’Italia non spenda di più per pagare le retribuzioni dei dipendenti pubblici; semmai l’attenzione andrebbe spostata sul “come” si spende, con particolare riferimento alla “produttività”.

La questione si ripropone proprio nel momento in cui -nonostante le continue smentite del Governo- si amplificano a dismisura le voci riguardanti una possibile proroga del blocco degli stipendi degli statali.

Il dossier -secondo le notizie diffuse da La Notizia giornale- sarebbe all’attenzione del Tesoro, alla disperata ricerca di far quadrare i conti in vista della presentazione della Legge di Stabilità. Sul tema è stato evidenziato -e ne aveva dato notizia anche il nostro Quotidiano- che era già intervenuta la Corte dei Conti, con un rapporto di cui ha riferito ieri anche Repubblica.

In particolare, nel rapporto si evidenzia che nel 2013 lo Stato ha speso 164 miliardi di euro per pagare le retribuzioni ai suoi 3,3 milioni di dipendenti. Nell’ultimo triennio si è registrato un calo del 4,6% ed un risparmio di 8 mld di euro. In sostanza, si tratta dell’11% dell’intero Pil nazionale; mentre è stato segnalato che in Danimarca il rapporto col Pil si attesta addirittura al 19%, in Svezia al 14,4%, in Francia al 13,4% ed in Gran Bretagna all’11,5%. Solo in Germania si spende meno, con l’8% del Pil.

In pratica nel nostro Paese, in rapporto al prodotto interno lordo, si spende molto meno di altri; il problema -per la Corte dei Conti- è che si spende “sostanzialmente” male. Nel senso che non c’é attenzione alla “produttività” (cioé alla qualità del lavoro fornito); ma non sono condivisibili né apprezzabili neanche le scelte “a monte” che definiscono la “composizione della forza lavoro nel comparto pubblico”.

Per quanto riguarda in particolare quest’ultimo punto, il giudici contabili sottolineano che “la percentuale di dipendenti (pubblici) con età superiore ai 50 anni è pari al 50% per l’Italia”, mentre i maggiori Paesi industrializzati hanno tutti valori che “si avvicinano al 30%”.

In Francia il 6% dei dipendenti pubblici non ha ancora compiuto 25 anni ed il 22% si attesta tra i 25 e i 34 anni; mentre da noi solo 1 dipendente statale su 10 ha meno di 35 anni. Riflettendo su questi dati, si può quindi facilmente comprendere l’obiettivo evidenziato più di ogni altro dal Premier Renzi e dal Ministro Marianna Madia in occasione dell’annuncio del progetto di riforma della P.A. :”avviare anche un consistente ricambio generazionale”.

La Corte dei Conti, peraltro, ha puntato il dito soprattutto sul fatto che nelle amministrazioni pubbliche italiane è assolutamente insufficiente l’attenzione -ed in alcuni casi del tutto assente- per “la produttività”.

Secondo i giudici contabili, l’obiettivo principale dovrebbe essere costituito dalla “creazione di un effettivo sistema incentivante premiale con una entità di risorse adeguata, correlata a parametri macroeconomici, da distribuire tra le varie amministrazioni secondo criteri che privilegino i risultati ottenuti nella spending review”.

Se realizzata, si tratterebbe indubbiamente di una svolta epocale e foriera, con ogni probabilità, di un’inversione di tendenza e di un cambio di marcia assolutamente indispensabile per la nostra “macchina pubblica”, il cui motore si è da tanto tempo “inceppato”, dopo decenni di “egualitarismo disincentivante”, dove i tanti dipendenti e funzionari che svolgono con diligenza le loro mansioni, vengono spesso ricambiati con la beffa di vedersi trattati alla stessa maniera di colleghi assenteisti e noncuranti del proprio dovere.

Questa sì che sarebbe una vera rivoluzione. Staremo a vedere.

 

 

Moreno Morando

(23 agosto 2014)

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