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Scissione UK

Lombardia e Veneto guardano con attenzione al voto sull'indipendenza della Scozia

Si avvicina il referendum che potrebbe assicurare l'indipendenza alla Scozia dal Regno Unito. Ma quello scozzese non è un caso isolato in Europa. Quali sono le istanze che muovono gli indipendentisti europei?

Il Regno Unito - che all'alba di venerdì prossimo potrebbe risvegliarsi Dis-unito - sembra aver scoperto da non più di una settimana che la Scozia rischia di diventare indipendente dopo il referendum previsto per il 18 settembre. In poco meno di una settimana si va dall'annuncio della gravidanza di Kate Middleton allo sfoggio domenicale di kilt da parte della famiglia reale in trasferta nella residenza di Balmoral. Non è mancato neppure il monito della Regina Elisabetta: "scozzesi, pensate con attenzione al voto". 

La domanda da porsi dovrebbe dunque essere: interessa davvero al premier Cameron e in generale alla leadership dell'Unione ostacolare l'indipendenza della Scozia? Probabilmente la risposta è no. Anzitutto perché la Scozia indipendente porrebbe soltanto una serie di questioni piuttosto complicate ma anche semplicemente formali quali la valuta, le frontiere, lo status rispetto al Commonwealth, etc. De facto la Scozia è già indipendente dal 2012, ha un suo parlamento ed ampia autonomia amministrativa. Anche laddove lo Scottish National Party si è impegnato a ritagliare spazi di assoluta indipendenza (difesa, rapporti con la NATO, monarchia, etc.) la capitolazione agli interessi dell'Unione è indiscutibile. I sottomarini nucleari britannici resteranno infatti in Scozia e di conseguenza rimarrà saldo il legame con la NATO. Ottenendo uno status analogo a quello di Australia e Canada, la Scozia resterà fermamente monarchica e continuerà ad essere membro dell'UE con le stesse eccezioni del Regno Unito (non sarà Shengen-area e non adotterà l'euro). 

Il risultato più decisivo del referendum scozzese sarà l'impatto sulla sterlina. Non sappiamo quanto questo evento sia programmato o meno, e quanto possa essere efficace sull'economia inglese, di fatto però ne conseguirà una moderata svalutazione della sterlina. L'obiettivo cioè che la Bank of England e il governo Cameron stanno silenziosamente inseguendo da più di due anni. Potrebbe dunque l'indipendenza della Scozia essere un ulteriore tassello di quella "currency war" iniziata almeno dal 2010 e sempre più inarrestabile e che vede il Giappone fra le nazioni più "bellicose"? 

Al di là degli esperimenti economici resta la reale tendenza indipendentista che è ormai ampiamente diffusa in Europa. C'è chi preferisce l'indipendenza dall'Unione Europea e chi dallo Stato centrale. Si va dai Baschi alla Catalogna, dal Veneto al Salento, passando per le Fiandre. Insomma cosa cementa questi eterogenei gruppi che ambiscono al riconoscimento della propria autonomia? 

Di certo l'ostilità nei confronti di ogni "superpotere" o "superstato". La storia ci insegna che ogni grande impero dopo aver raggiunto la sua massima espansione ha finito per disgregarsi, perché l'impero impone modelli sociali, culturali e di organizzazione statale che spesso non coincidono con quelli delle identità nazionali ricomprese al suo interno. L'esempio più recente è quello della Jugoslavia o ancora quello dell'ex Urss. Ma potrebbe bastare l'attuale puzzle iracheno (quanti di noi avevano sentito parlare prima di ora degli yazidi?) o la sanguinosa guerra civile del Donbass in Ucraina. Ci sono poi esempi molto più antichi come quello dell'impero romano disgregatosi non solo a causa delle progressive invasioni di popolazioni nomadi caucasiche o nordiche, ma anche per via della progressiva sete di indipendenza di province sottomesse. E anche qui ritorna la Britannia, la prima fetta d'impero ad essere abbandonata al suo destino agli inizi del V secolo dall'imperatore Onorio che cordialmente invitò i suoi cittadini "a badare a se stessi".

Solitamente i "superstati" che spesso nelle loro fasi declinanti sono ridotti a mere entità burocratiche, economiche e fiscali, tendono a rispondere a queste ansie o descrivendo come degli esaltati gli indipendentisti e mettendoli alla berlina (pensiamo al caso del tank sequestrato a Padova nell'aprile scorso) o ponendo in evidenza la potenziale insostenibilità economica di uno stato che si disgrega. Insostenibilità più per l'apparato burocratico del "superstato" che per l'entità territoriale che richiede indipendenza.

C'è poi un aspetto che potremmo definire "romantico" o "sociologico" a seconda delle scuole di pensiero: ogni popolo che chiede l'indipendenza riconosce la sua natura per l'appunto di "popolo", "ethnos". La differenza che il sociologo russo Alexander Dugin individua fra il "narod" (il popolo storicamente e culturalmente inteso) e la "popolazione" (vista come massa di singoli individui). Alle volte questa distinzione resta solo su un livello retorico, tradita da una pressoché totale decadenza dell'identità storica di un popolo e della sua terra, utile solo a camuffare cogenti esigenze di natura economica e fiscale che peraltro hanno pur sempre una loro assoluta dignità.

Nella tardiva reazione unionista in merito al caso scozzese si percepisce tutto sommato un segno di stanchezza generalizzato. E' come se le istanze degli indipendentisti fossero ormai così salde da non necessitare estremi sforzi difensivi. L'esempio della Scozia potrebbe tuttavia costituire un precedente per altre nazioni europee, allentando magari l'antieuropeismo che cova nella maggiorparte dei popoli europei attraverso la concessione di reali o presunte autonomie amministrative. Resta tuttavia l'amara realtà di stati che per difendere la propria integrità territoriale ricorrono esclusivamente ad argomentazioni di carattere economico o tecnico-burocratico, dimostrando pertanto che nel mondo contemporaneo non sembra esserci posto per alcun "narod", ma solo per popolazioni asetticamente composte da innumerevoli individui, attori economici e fiscali privi di cultura identità e storia. 

Francesco Colafemmina

(16 settembre 2014)

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