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Protezione internazionale

Rifugiati: il diritto di informazione non ammette deroghe di alcun tipo

Regolamento di Dublino: il Consiglio di Stato vuole l'assoluto rispetto della forma.

Un cittadino Pakistano, entrato in Italia attraverso la frontiera austriaca, presentava istanza di protezione internazionale, in quanto perseguitato in patria dai Talebani come giornalista attivo contro l’integralismo islamico. I competenti uffici del Ministero dell’Interno adottavano il provvedimento (in data 7 ottobre 2014) con il quale disponevano invece il trasferimento del ricorrente in Germania, in quanto Stato competente a decidere sull'istanza di protezione internazionale, essendo emerso, attraverso il riscontro delle impronte digitali tramite il sistema Eurodac, che l’interessato aveva già presentato in Germania, in data 19 gennaio 2012, analoga istanza; attraverso uno scambio di note la Germania aveva riconosciuto la propria competenza.

Con ricorso proposto davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, l'interessato chiedeva l'annullamento di tale provvedimento: il TAR adito, dopo aver in un primo tempo accolto l’istanza cautelare con provvedimento monocratico, respingeva il ricorso mediante sentenza in forma semplificata adottata ai sensi dell’art. 60 c.p.a. (n. 2184 del 6 febbraio 2015).

Da qui la notificazione dell’appello al Consiglio di Stato che, con sentenza dell’8 settembre 2015 n. 4199 (della Sezione terza), ha riformato la decisione di primo grado.

Il Collegio di appello ha inizialmente tenuto a sottolineare che il sistema delle garanzie partecipative fissato dai regolamenti dell’Unione europea per regolare i trasferimenti degli stranieri, in relazione al Paese nel quale hanno presentato per la prima volta la domanda di protezione internazionale, costituisce un aspetto essenziale ed inderogabile della relativa disciplina. 

Esso infatti rappresenta il dato distintivo fondamentale, che distingue una procedura regolata dal diritto - in funzione dei valori che si vogliono proteggere - dal traffico di esseri umani, che spesso caratterizza i flussi migratorii.

Pertanto, il Consiglio di Stato ha mostrato di non condividere il criterio sostanzialistico seguito dal TAR, il quale si è – sia pure in modo non irragionevole – impegnato ad accertare se lo straniero fosse di fatto informato dei diritti e delle garanzie che gli spettavano, traendone la prova positiva dall’effettivo e, specie nelle fasi cautelari, efficace esercizio dei suoi diritti processuali. Infatti, a giudizio dei magistrati di Palazzo Spada, nel caso delle garanzie partecipative connesse alle procedure di protezione internazionale, non vi è alcun margine per interpretazioni del giudice nazionale non strettamente aderenti alla formulazione normativa e, tanto meno, per interpretazioni di tipo sostanziale. 

Nello specifico, l’articolo 4 del Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (Nuovo Regolamento di Dublino) prevede il diritto di informazione degli stranieri che avanzano domanda di protezione internazionale, specificando al comma 1 l'obbligo di adempiere ad una serie di prescrizioni (tra le quali rientra lo svolgimento del colloquio personale) e, al comma 2, che “le informazioni di cui al paragrafo 1 sono fornite al richiedente per iscritto in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile. A questo fine gli Stati membri si avvalgono dell’opuscolo comune redatto conformemente al paragrafo 3”.

Le prescrizioni dell’appena richiamato comma 2 - circa la obbligatorietà della informazione preventiva e per iscritto in lingua accessibile allo straniero, su tutti i contenuti determinati nell’elenco di cui al comma 1 dello stesso articolo - sono tassative. 

Esse pertanto non possono considerarsi rispettate solo per il fatto che lo straniero interessato ha svolto il colloquio personale, in presenza di un mediatore culturale, che costituisce solo una delle diverse garanzie informative previste. 

La possibilità di richiedere informazioni non equivale all’obbligo di essere informati per iscritto in modo sistematico e oggettivo, come avviene attraverso la consegna di un documento appositamente predisposto a questo scopo, quale l’“Opuscolo” espressamente previsto dalla norma europea, che mira a garantire la certezza che la informazione sia stata fornita in forma appropriata e oggettiva. Per il Consiglio di Stato, allora, non è stato sufficiente di certo, a tal fine, che lo straniero abbia avuto la possibilità di richiedere a persone competenti le informazioni che riteneva necessarie. 

Per domandare, bisogna anche sapere “cosa domandare” e, in situazioni complesse come quelle in esame, specie nel contesto di ordinamenti e lingue a cui si è quasi sempre totalmente estranei, sapere cosa bisogna domandare per tutelare i propri diritti non è affatto evidente o intuitivo. 

La garanzia predisposta dall’art. 4, comma 2, del citato regolamento UE n. 604/2013, che nel caso di specie è stata violata, assume quindi, anche sul piano sostanziale, un carattere essenziale ed inderogabile. 

In base alle considerazioni che precedono, l’appello è stato accolto (nei termini di cui in motivazione) e, conseguentemente, è stato dichiarato l’obbligo per l’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza che ha dato luogo al provvedimento impugnato, secondo le indicazioni offerte dalla sentenza di secondo grado.

Rodolfo Murra

(13 settembre 2015)

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