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Corte di cassazione

Avvocati comunali: promossi ma collocati in disponibilità

Un curioso caso di inquadramento da dirigente e di contestuale collocamento in disponibilità.

Alcuni Avvocati dipendenti di un Comune campano ottennero dal Tribunale civile, nel 2003, una sentenza che riconosceva loro il diritto all’inquadramento nella qualifica dirigenziale alla luce dell’avvenuta soppressione, dal 1997, della figura del procuratore legale. Dopo aver adito il TAR Campania per ottenere l’esecuzione del giudicato, il Commissario ad acta nominato dal collegio partenopeo aveva effettivamente disposto l’inquadramento nella qualifica dirigenziale dei ricorrenti ma collocandoli in soprannumero rispetto alla dotazione organica allora vigente dell’Ente ed il Comune, prendendo atto di ciò, avviava una procedura di mobilità nei loro confronti.

Contro l’ultima deliberazione comunale di avvio della procedura di mobilità insorgevano davanti al giudice del lavoro gli avvocati, riportando una soccombenza in primo grado ma ottenendo, invece, soddisfazione dalla Corte di appello, che reintegrava i ricorrenti reduci (alcuni nel frattempo erano stati, infatti, collocati a riposo, altri avevano transatto) dichiarando l’illegittimità della procedura di mobilità.

Il Comune ha proposto ricorso per cassazione, che è stato accolto con sentenza n. 18191 depositata il 16 settembre 2016.

La Corte ha dovuto premettere alcune considerazioni sull’istituto della mobilità. La mobilità d'ufficio tende al riassorbimento del personale in eccedenza attraverso una procedura che si conclude - ove il personale in esubero non possa essere impiegato diversamente nell'ambito della medesima Amministrazione ovvero presso altre amministrazioni - con il collocamento in disponibilità (art. 33 comma 7 del Testo unico di cui al D.L.vo n. 165 del 2001) per la durata massima di ventiquattro mesi durante i quali esso percepisce un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale (art. 33, comma 8), fermo restando che, decorsi infruttuosamente detti ventiquattro mesi, “il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto” (art. 33, comma 4). Il collocamento in disponibilità del lavoratore pubblico che non sia possibile impiegare diversamente nell'ambito della medesima Amministrazione o ricollocare presso altre Amministrazioni presuppone, però, il provvedimento di definizione della dotazione organica, che il giudice ordinario deve disapplicare, se illegittimo, ancorché sia divenuto inoppugnabile.

Ciò posto, l'attuazione dell'art. 34, commi 1, 2 e 3 della L. 27 dicembre 2002 n. 289, riguardante la rideterminazione delle dotazioni organiche delle Pubbliche amministrazioni, e più in generale il passaggio dalla nozione di pianta organica a quella di dotazione organica, ha reso evidente che la fissazione della dotazione organica nella Pubblica amministrazione deve essere effettuata in relazione alle effettive esigenze di funzionamento degli enti, e, quindi è volta ad integrare un concreto strumento di gestione del personale.

Il citato art. 6 del D.L.vo n. 165 del 2001, che costituisce espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell'Amministrazione ai sensi dell'art. 97 Cost., fornisce due importanti indicazioni alle Amministrazioni pubbliche:

a) stabilire dotazioni organiche perseguendo efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, razionalizzando i costi e ottimizzando le risorse umane;

b) tendere alla migliore distribuzione delle risorse umane attraverso una attuazione coordinata dei processi di mobilità e di reclutamento del personale.

Secondo la Corte, naturalmente, presupposto della definizione della dotazione organica è la verifica degli effettivi fabbisogni, nonché l'informazione alle organizzazioni sindacali rappresentative.

Calando questi principi nella fattispecie concretamente sottoposta al proprio esame, la Suprema Corte ha dovuto concludere nel senso che il giudicato della sentenza di primo grado del giudice del lavoro (che era divenuta appunto intangibile e della quale si è chiesta l’ottemperanza al TAR), non poteva avere esecuzione mediante una forzatura della dotazione organica dell'Ente, la cui determinazione è rimessa allo stesso nei termini sopra esposti, ma doveva avvenire, correttamente, mediante il collocamento in soprannumero, sottoposto poi alla disciplina di cui agli artt. 33 e ss. del D.L.vo n. 165 del 2001, con la conseguente legittimità della procedura di collocamento in disponibilità.

La sentenza della Corte di appello, risultata favorevole agli avvocati comunali, è stata quindi cassata, con rinvio ad altra sezione del medesimo giudice.

Rodolfo Murra

(22 settembre 2016)

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