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CONSIGLIO DI STATO

Vincolo alla Casa-Studio di Lucio Dalla: il Consiglio di Stato dice "no"

Lacunosa l'istruttoria eseguita dalla Soprintendenza.

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. Bologna, uno degli eredi del musicista Lucio Dalla ha impugnato il decreto del gennaio 2015, con il quale il Ministero dei Beni Culturali ha dichiarato, ai sensi degli artt. 10, co. 3, lett. d) e 13 del T.U. n. 42 del 2004, d’interesse particolarmente importante l’immobile, con gli annessi mobili ivi presenti, denominato “Casa-Studio Dalla”, sito in parte del primo piano del fabbricato di via Massimo D’Azeglio n. 15 a Bologna.

Con sentenza n. 153 del 2017, il ricorso (al quale era stato nel frattempo riunito altro analogo gravame) è stato respinto.

Avverso tale sentenza hanno interposto appello, con distinti atti, i vari soccombenti.

Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con sentenza 19 ottobre 2018 n. 5986, ha accolto le impugnative, precisando in via preliminare quali sono, nella specie, i poteri attribuiti alla Soprintendenza (pur nell’ampia sfera di discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, il cui esercizio non resta sottratto a criteri di ragionevolezza, di proporzionale bilanciamento degli interessi coinvolti del potere esercitato e di adeguatezza al caso concreto).

L’ampia discrezionalità in questione deve essere, infatti, ponderata alla luce del proporzionale bilanciamento degli interessi coinvolti, dell’adeguatezza al caso concreto nonché  della ragionevolezza del provvedimento.

Nella sentenza impugnata, a giudizio del Consiglio di Stato, il vincolo non è stato minimamente indagato sotto questi profili, in quanto è stato erroneamente ritenuto che la relazione allegata al decreto di vincolo fosse congruamente motivata.

Alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza, tuttavia nella relazione stessa, non si rinviene,  nessuna valutazione sull’adeguatezza del vincolo, la cui estensione è totale, alcuna valutazione sulla ragionevolezza del provvedimento (che, anzi, nella prima stesura anticipava l’esigenza di svolgere necessariamente ulteriori attività istruttorie che poi non sono state svolte) ed infine nessun proporzionale bilanciamento degli interessi coinvolti.

I giudici di appello, peraltro, hanno sottolineato che ricomprendere indistintamente “tutti i beni presenti nell’immobile”, significa in realtà negare proprio l’esercizio di qualsiasi forma di discrezionalità, mancando, innanzitutto, una chiara elencazione delle cose mobili contenute nella “Casa-Studio Dalla”, che sarebbero tecnicamente assurte a bene culturale.

L’art. 14 del T.U.n. 42 del 2004 esige, invero, “gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa”, profilo che andava tassativamente ed inevitabilmente esaurito.

In mancanza di quanto richiesto dalla norma, i giudici di Palazzo Spada hanno concluso che la Soprintendenza abbia imposto un illegittimo e generico vincolo sul tutto, rinviando ad un successivo accordo con la proprietà la chiara individuazione di cosa effettivamente sottoporre a vincolo.

Nella specie non si ha, allora, un vincolo su beni determinati, ma si è di fronte ad un vincolo “affettivo” caratterizzato da palese aleatorietà ed indeterminatezza: con il che è chiaramente mancata l’attività istruttoria che non è mai stata compiuta.

Altresì la norma citata prevede che “la comunicazione contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini …”.

Dunque gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini devono essere chiaramente individuabili fin dalla comunicazione di avvio; nel caso in esame, però, la citata relazione (parte integrante dell’avvio del procedimento) si autodefiniva una relazione “di massima” e “sommaria”, richiedendo una serie di attività ritenute necessarie prima di pervenire all’emissione del vincolo. Tali attività non sono state mai svolte. Difatti, è emerso che non si è proceduto a nessun ulteriore sopralluogo, così che l’unico sopralluogo si è svolto senza la presenza degli eredi; non si è proceduto a nominare appositamente alcun “Comitato Scientifico” (come invece si era annunziato) e dunque non si sono potuti verificare i rapporti ed i legami solo accennati nella prima relazione; non si è individuato “in maniera precisa, tra il foltissimo materiale raccolto, esclusivamente quello che abbia una forte relazione con il cantautore”.

In sostanza è apparsa evidente, agli occhi del giudice di appello, una violazione originaria dell’art. 14 co. 2 del T.U. n. 42 del 2004 che poi si è riverberata sul provvedimento finale. E non meglio ha fatto il primo giudice, il quale  è apparso arrestarsi alla considerazione che sarebbe “la suggestione” ciò che “il vincolo intende perpetuare”: un tessuto connettivo in realtà fin troppo gracile ed astratto per svolgere quella funzione impositiva e di collante (degli elementi dell’unicum) che l’Amministrazione appellata avrebbe inteso far svolgere al vincolo.

Ma anche lo stesso decreto di vincolo è fondato su una seconda relazione quasi identica alla prima, nella quale si era evidenziata la necessità di ulteriori attività istruttorie, in seguito mai compiute.

Appare evidente, a giudizio del Collegio di secondo grado,  il difetto istruttorio, in quanto nella seconda relazione non è stato aggiunto alcunché che possa ritenere superata l’inidoneità della prima relazione. La stessa Amministrazione appellata aveva, evidentemente, riconosciuto che la relazione iniziale era vaga, non verificata e la necessità di redigerne una successiva e di istituire un comitato scientifico.

I punti nei quali la relazione finale è stata integrata rispetto alla prima sono risultati, però, inconsistenti sotto il profilo che qui interessa, vale a dire l’accertamento della legittimità dell’istruttoria. La relazione, poi, non contiene un elenco completo dei beni mobili da vincolare, per cui si è inteso vincolare fittiziamente un unicum, scelta che non trova alcuna giustificazione in base agli atti d’istruttoria. La illogicità e la irragionevolezza, quindi, derivano dal fatto di non aver scelto tra i beni astrattamente vincolabili e di aver quindi vincolato un insieme indistinto, fittiziamente indicato come unicum.

Rodolfo Murra

(23 ottobre 2018)

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