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CONFINDUSTRIA

Pil in calo oltre le previsioni, ma Squinzi rassicura: "L'Italia non è più sull'orlo del baratro"

La ricetta di Confindustria: bisogna avere il coraggio di fare anche interventi che costano. Meno spesa corrente e più investimenti, pubblici e in partnership. Scuole e strade da ristrutturare

Il Pil – Prodotto interno lordo dell'Italia, nel 2014, sarà inferiore a quello previsto dello 0,7% con segno più. Lo afferma uno studio di Confindustria che attesterebbe la crescita ad un bassissimo +0,2%. La crisi non è certo finita, e dal suo inizio nel Paese si registrano 3 milioni di persone povere in più (+93,9%) e 3,7 milioni in più a cui manca il lavoro (+122,3%). Sempre dall'inizio della crisi il calo del Pil sarebbe del 9 per cento, mentre la produzione industriale avrebbe registrato un -23,6% e le costruzioni un -43,15% (-8% consumi delle famiglie, -27,5% investimenti, -7,8% di occupazione). Le unità di lavoro perse sono 1 milione e 968 mila.

Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi durante un suo intervento sugli Scenari Economici presso il Centro Studi Confindustria ha sottolineato che nell'organizzazione “guardiamo sempre ai numeri dell’economia con realismo, nei momenti migliori, come nelle fasi più critiche. Oggi lo dobbiamo fare tutti con cura e attenzione moltiplicate, consci che la situazione in cui versa il nostro Paese è seria. Come è stato nei momenti più duri di questa ‘eterna’ fase recessiva resto convinto che l’Italia ha le persone, le risorse e le potenzialità per superare le difficoltà che stiamo vivendo. È scritto nei dati, anche se la durezza dei numeri potrebbe far pensare il contrario. È percepito da noi imprenditori tutti i giorni, quando in azienda combattiamo per ottenere fatturati e volumi produttivi che un tempo avremmo giudicato deludenti, in molti settori drammatici. È ripetuto con orgoglio nelle nostre assemblee, dove siamo noi imprenditori a raccontare delle tante qualità del Paese e delle speranze di ripresa da non deludere. Ne è stato testimone lo stesso presidente del Consiglio. Numeri e fatturati ci porterebbero fuori strada se letti senza l’esperienza e l’empatia che gli imprenditori hanno con il Paese. Usciamo dalla stretta lettura aziendale e guardiamo al Paese nel suo complesso. Ripeto e lo faccio senza retorica, che sapete non essere il mio cavallo di battaglia: l’Italia ha tutte le carte in regola per superare questo difficile momento e riprendere il cammino della crescita. Non tra qualche anno. SUBITO”.

Investimenti e innovazione potrebbero essere il carro trainante: “L’innovazione continua è cruciale per rimanere sempre competitivi e stare almeno un passo avanti ai nostri concorrenti. Se non s’innova non si può rimanere sui mercati globali. Essere sui mercati globali sprona a innovare, a creare valore, lavoro e consumi interni. Tutto si tiene. La crescita è un circolo virtuoso fatto di continuo apprendimento e capacità di cambiare”. 

Poi, forse tenendo presente i dati forniti dalla confederazione degli industriali poco prima ha aggiunto: “I numeri forse sono ancora difficili da accettare, ma oggi le prospettive sono in miglioramento. L’Italia non è più sull’orlo del baratro. L’ossessione dello spread si è diradata. L’euro e, con la moneta, l’Europa, non è più in pericolo di vita. Si è avviato un ciclo politico di riforme che sembra avere finalmente stabilità. Questo non significa che tutti i problemi siano stati risolti, ma almeno sono stati messi punti fermi importanti, su cui ricostruire la fiducia e rimuovere la cappa di incertezza che ci opprime da tempo. Questi punti fermi, non a caso, non sono il frutto di un singolo. Sono il frutto dell’opera di riforma e di fiducia innescata dal Governo, del presidente della Bce Mario Draghi che ha messo linfa nel sistema creditizio e dato qualche spazio a nuovi investimenti e degli sforzi che tutti noi imprenditori stiamo facendo, dimostrando al resto del mondo che siamo un Paese capace di combattere e per nulla rinunciatario”.

Uno sguardo al futuro: “La prospettiva delle riforme in campo, il tornare a parlare di cose concrete, da fare, aiuta a ritrovare più in fretta la fiducia, può rimettere in moto gli investimenti, sbloccare i progetti delle imprese e anticipare e dare più forza alla ripresa. Il prossimo inizio di presidenza del semestre europeo, sarà un banco di prova importante per la capacità propositiva del nostro Paese. Oggi non vedo alternativa se non lavorare, nel rispetto degli accordi europei, per allargare lo spazio della flessibilità sensata di bilancio, che peraltro mi pare ricevere qualche autorevole segnale verso la ripresa degli investimenti, se riconosciamo come comunità che la priorità assoluta, per tutti, è la crescita. Archiviamo rapidamente questa fase. Dalla crescita vengono posti di lavoro, fiducia delle persone nel futuro, retribuzioni più elevate, risorse per la solidarietà. Per avere più crescita però bisogna ripristinare appieno la competitività del Paese: più flessibilità, più concorrenza, meno burocrazia, più merito, più efficienza. Queste azioni non solo non costano, ma addirittura fanno risparmiare soldi alla Pubblica amministrazione, concentrandosi sui servizi che servono, oltre che ai cittadini e alle imprese”.

Poi ci sono anche interventi e investimenti da decidere e da fare: "Bisogna avere anche il coraggio di fare anche interventi che costano: il rilancio delle infrastrutture, la rapida applicazione dell’Agenda Digitale, il credito di imposta per la ricerca di durata almeno decennale. Bisogna avere e dare al Paese le giuste priorità. Scegliere è difficile, ma il coraggio e la volontà di decidere non sembrano mancare al nostro presidente del Consiglio”.

La ricetta Squinzi: “Meno spesa corrente e più investimenti, pubblici e in partnership, dando il giusto spazio ai privati che esprimono questa volontà. Molti edifici scolastici sono fuori norma. La mancata manutenzione rende meno sicure le strade. Il potenziamento del trasporto pubblico riduce il traffico e l’inquinamento. Una migliore rete stradale e autostradale fa risparmiare tempo, carburante e facilita i circuiti e le reti dell’economia. Per aumentare di un terzo la spesa pubblica per investimenti basterebbe ridurre dell’1,5% la spesa corrente al netto degli interessi. Una scelta che penso sia tutto sommato ragionevole. E poi: meno imposte sui redditi di lavoro e impresa. Queste riduzioni andrebbero a favorire le famiglie con redditi non elevati, che hanno una maggiore propensione alla spesa e che sarebbero anche quelle più svantaggiate dall’aumento delle imposte indirette”.

La conclusione: “È ora di ridare il giusto valore al ruolo sociale delle imprese e di adottare riforme a favore della competitività e dello sviluppo. È un lavoro di tutti, corale, il più difficile e stimolante”.

Giuseppe Bianchi

(26 giugno 2014)

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