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Corte dei Conti

Le aziende partecipate costano allo Stato 26 miliardi

Gli esiti dell'analisi sul Rendiconto generale dello Stato. La lotta alla corruzione non giustifica la soppressione di regole e controlli. Sulle aziende speciali manca trasparenza e serio riordino.

Sono 7.500. Di queste, 50 sono partecipate dallo Stato e 5.258 dagli enti locali, poi ci sono altri 2.214 organismi di varia natura (consorzi, fondazioni ecc...) che contribuiscono a non rendere definitivo il dato in quanto le società partecipate sono soggette a frequenti modifiche dell'assetto societario. Allo Stato italiano costerebbero qualcosa come 26 miliardi di euro.

La Corte dei Conti, nella relazione sul Rendiconto generale dello Stato 2013 illustrata dal presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo, Enrica Laterza sottolinea che “il fenomeno degli enti, agenzie, fondazioni, società ed organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, facenti capo alle Amministrazioni centrali e territoriali merita un approfondimento. A partire dal 2001, le leggi finanziarie annuali hanno sistematicamente introdotto disposizioni per il riordino di tali enti affrontando, tuttavia, il tema sotto il profilo meramente finanziario, privilegiando immediati effetti in termini di tagli di spesa. E’ mancata invece una riflessione sulle linee strategiche di riordino sostenuta da un’approfondita ricognizione dei settori di intervento, delle funzioni e delle risorse ad essi dedicate. La rilevanza del fenomeno, emersa dai primi risultati della ricognizione effettuata dalla Corte dei conti nel recente Rapporto di coordinamento della finanza pubblica, incide sulle politiche di revisione della spesa delle Amministrazioni che hanno fatto maggior ricorso a tale modulo organizzativo. Nella stessa logica, un’attività di profonda razionalizzazione richiede il quadro delle società strumentali partecipate dalle Amministrazioni statali nel cui ambito andrebbe attentamente valutata, da un lato, la funzione strategica e l’essenzialità delle partecipazioni e, dall’altro, il rapporto tra le funzioni esercitate e quelle tipiche dell’Amministrazione di riferimento. La compresenza, infatti, di strutture ministeriali e società partecipate, quando non sia finalizzata a fornire ben identificati servizi alla collettività, non consente di distinguere con immediatezza i rispettivi ambiti di competenza, duplicando, talvolta, costi e funzioni”.

Il procuratore generale Salvatore Nottola riferisce che il movimento finanziario indotto dalle società partecipate dallo Stato, costituito dai pagamenti a qualsiasi titolo erogati dai Ministeri nei loro confronti ammonta a 30,55 miliardi nel 2011, 26,11 miliardi nel 2012 e 25,93 nel 2012; il 'peso' delle società strumentali sul bilancio dei Ministeri è stato di 785,9 milioni nel 2011, 844,61 milioni nel 2012 e 574,91 milioni nel 2013; quanto agli enti partecipati dagli enti locali, un terzo è in perdita). Questo aspetto richiederebbe una assoluta trasparenza del fenomeno ma la realtà è diversa: anzitutto, soltanto nel dicembre 2013 il MEF ha reso il 'Rapporto sulle partecipazioni statali' (richiesto dall’art.2, comma 222, della legge 191 del 2009), peraltro riferito al 31 dicembre 2011. Quanto alle partecipazioni degli enti locali, è stato rilevato che i dati disponibili all’attualità non coprono 'l’universo degli organismi partecipati' pur consentendo approfondimenti successivi. Ciò è peraltro spiegabile: si tratta di enti che hanno un assetto talvolta mutevole e vicende spesso complesse: ad esempio, le società partecipate dallo Stato a loro volta 'partecipano' ad altre 526 società, dette di secondo livello. Gli aspetti contabili – conclude Nottola - sono spesso oscuri”.

In un altro passaggio della relazione il procuratore generale aggiunge: “Le considerazioni possibili, da quanto si è detto, sono che gli interventi diretti a comprimere la spesa, se servono a stabilizzare i conti e a ridurre il debito, non contribuiscono di per sé allo sviluppo culturale, morale ed anche economico del Paese, se non sono accompagnati da azioni dirette a razionalizzare le strutture e se il risparmio non è selettivo (in proposito si è parlato di 'qualità' della spending review). In particolare ciò è vero per la pubblica Amministrazione nel suo insieme, la cui efficienza è un fattore fondamentale per l’economia: la spesa risulta diminuita, specie quella per il personale, fortemente ridotto, ma ai tagli di spesa non si sono accompagnati interventi diretti alla razionalizzazione ed all’efficacia dell’azione amministrativa, alla eliminazione delle duplicazioni di uffici (coesistono uffici ministeriali, enti, autorità indipendenti, società partecipate); a ciò consegue che il calo della spesa corrente è di gran lunga superato da quello della spesa in conto capitale, concernente servizi, investimenti ed opere pubbliche e ciò contribuisce notevolmente alle difficoltà di sviluppo e di crescita economica”.

LA CORRUZIONE “E' uno dei fattori che condizionano gravemente l’economia del Paese – sottolinea Nottola nella sua relazione - al pari dell’evasione fiscale, dell’economia sommersa e della criminalità organizzata: fra l’altro, è singolare come questi quattro fenomeni siano collegati e a volte s’intreccino. La gravità del fenomeno – sul quale azzardare delle cifre sarebbe impossibile ed inutile ma che sicuramente condiziona pesantemente lo sviluppo dell’economia anche per l’effetto deterrente che ha sugli investimenti ed in particolare su quelli delle imprese straniere – richiede una seria riflessione sui contesti che lo favoriscono e sulla sufficienza ed efficacia dei rimedi che solitamente vengono apprestati. Impone anche una chiara denuncia delle cause. Dalla riflessione risulterà che la corruzione può attecchire dovunque: nessun organismo e nessuna Istituzione possono ritenersene indenni o al riparo e quindi esenti da obblighi di vigilanza. Inoltre nessuna Istituzione che abbia competenze pubbliche può ritenersi scevra da responsabilità di fronte al suo dilagare. Per un efficace contrasto alla corruzione si deve considerare che i contesti in cui essa ha occasione di svilupparsi sono i più vari, non si limitano al mondo degli appalti né all’aspetto della illecita dazione di danaro o di benefici: essa trova facile terreno nell’evasione fiscale e nell’economia sommersa ed è un mezzo congeniale agli ambienti criminali. Insomma, il suo terreno di coltura è la illegalità in tutte le sue forme. Un efficace contrasto alla corruzione richiede l’individuazione di tutti i casi che possono derivare dalla corruzione o accompagnarla o esserne occasione: ad esempio, nomine pubbliche al di fuori delle regole, incarichi fiduciari, consulenze illecite o superflue. Va posta attenzione alle situazioni che favoriscono o celano accordi illeciti: ritardi nelle opere pubbliche che giustificano poi il ricorso a leggi eccezionali, perizie di variante in corso d’opera di dubbia utilità che possono celare dazioni illecite, opacità dell’Amministrazione ed eccesso di oneri burocratici. A tal proposito, si sostiene che la corruzione è agevolata dall’eccesso di leggi, che causa la moltiplicazione delle competenze e delle responsabilità ed aumenta l’opacità dell’azione amministrativa. L’osservazione è giusta, le norme vanno semplificate e i centri decisionali ridotti all’essenziale ma ciò non deve giustificare la soppressione di regole e controlli: invece questi vengono via via smantellati, in base alla motivazione della somma urgenza ovvero dell’emergenza, che giustificano deroghe ai codici degli appalti e ai principi della concorrenza, nonché abolizione di controlli preventivi e di gestione, anche attraverso il sistema di estendere ai c.d. Grandi Eventi la normativa speciale dettata per la protezione civile. Emblematico è il caso dell’Expo-Milano...”.

Giuseppe Bianchi

(29 giugno 2014)

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