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Corte Costituzionale

Assegno divorzile, ecco i criteri che possono azzerarlo

Solo in astratto l'assegno deve garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il "diritto vivente" secondo la Consulta.

Il parametro del "tenore di vita goduto in costanza di matrimonio" serve per determinare in astratto il tetto massimo della misura dell’assegno, ma in concreto altri fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto possono "valere anche ad azzerarla".
 
In particolare, la condizione ed il reddito dei coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, la durata del matrimonio e le ragioni della decisione agiscono sono i criteri che si aggiungono al parametro del "tenore di vita goduto in costanza di matrimonio", concorrendo al necessario bilanciamento caso per caso, quali come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto.
 
Questi i principi consolidati della Corte di Cassazione richiamati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 11 del 11.2.2015 con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio).
 
Nel corso di un giudizio civile per scioglimento di matrimonio, il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato tale questione di legittimità costituzionale sulla base dell’interpretazione, che assume consolidatasi in termini di "diritto vivente", per cui, in presenza di una disparità economica tra coniugi, "l’assegno divorzile […] deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio".

Ad avviso della Corte Costituzionale l’esistenza, presupposta dal Tribunale, di un “diritto vivente” secondo cui l’assegno divorzile ex art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 "deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio" non trova, infatti, riscontro nella giurisprudenza del giudice della nomofilachia (che costituisce il principale formante del diritto vivente), secondo la quale, viceversa, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile.

La Corte di Cassazione, precisa la Consulta, infatti, in sede di esegesi della normativa impugnata, ha anche di recente, in tal senso, appunto, ribadito il proprio "consolidato orientamento", secondo il quale il parametro del "tenore di vita goduto in costanza di matrimonio" rileva, bensì, per determinare "in astratto […] il tetto massimo della misura dell’assegno" (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso), ma, "in concreto", quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5. 

Tali criteri (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) "agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto" e possono "valere anche ad azzerarla".

Conclude la Corte che l’erronea interpretazione della norma denunciata, da cui muove il Tribunale, travolge conseguentemente, in radice, tutte le censure di illegittimità costituzionale. 

Fonte: Corte Costituzionale

Enrico Michetti

La Direzione

(12 febbraio 2015)

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