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Edilizia

Realizzazione di una veranda a chiusura di un balcone: serve il permesso di costruire o lo SCIA?

I giudici di Palazzo Spada danno ragione al Comune che aveva ordinato la demolizione.

Con ricorso al TAR Marche, la proprietaria in Ascoli Piceno di un immobile, impugnava un’ordinanza di demolizione del 2013, avente ad oggetto la realizzazione, in assenza del prescritto permesso di costruire, di un intervento edilizio consistente “nell’ampliamento volumetrico dell’unità immobiliare eseguito con la realizzazione di una struttura in cemento armato (costituita da pilastri e travi) sui lati nord ed ovest della tettoia, tamponature laterali in vetro, con l’allungamento della trasanna della copertura sovrastante sostenuta da travi doppio T, e con la realizzazione (in sostituzione delle strutture verticali in profilati ad “I”) di massetto in c.a. a sostegno delle porte in vetro; tale ampliamento volumetrico determinava la contestuale modifica del prospetto dell’edificio”: in sostanza si era verificato un ampliamento del volume del bene tramite la realizzazione di una veranda.

L’istante poneva a fondamento dell’impugnativa la violazione dell’art. 31 del T.U. n. 380 del 2001, in quanto a suo dire l’opera in contestazione (denominata «serra») era già stata autorizzata dal Comune nel 1999 con regolare concessione edilizia.

Il Tribunale Amministrativo Regionale, con sentenza del 2013, accoglieva il ricorso, rilevando la“serra” di cui si controverteva aveva carattere sostanzialmente pertinenziale, essendo destinata al servizio della costruzione esistente di proprietà del ricorrente, con funzione oggettivamente strumentale alle esigenze dell’edificio principale.

Avverso la predetta sentenza ha promosso appello il Comune, chiedendone la riforma, in quanto il giudice di prime cure avrebbe posto a fondamento della sua decisione delle questioni non prospettate dal ricorrente, avrebbe errato nel riconoscere la natura giuridica di pertinenza nella «serra», non avendo quest’ultima una propria autonomia strutturale e, infine, non avrebbe rilevato che il titolo edilizio del 1999 aveva legittimato un intervento meramente conservativo senza autorizzare alcun ampliamento volumetrico.

Il Consiglio di Stato, Sesta Sezione, con sentenza del 9 ottobre 2018, ha ritenuto l’appello fondato.

La pronuncia ha preso le mosse dalla premessa secondo la quale, ai sensi dell’art. 10, comma l, lettera c), del Testo unico dell’edilizia (il citato D.P.R. n. 380 del 2001), le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia). In via residuale, la SCIA assiste, invece, i restanti interventi di ristrutturazione c.d. «leggera» (compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma dell’edificio preesistente).

Ebbene, le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planovolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire.

Si tratta, infatti, di strutture fissate in maniera stabile al pavimento che comportano la chiusura di una parte del balcone, con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Né può assumere rilievo la natura dei materiali utilizzati, in quanto la chiusura, anche ove realizzata (come nella specie) con pannelli in alluminio, costituisce comunque un aumento volumetrico.

E’ stato quindi escluso che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una «pertinenza» in senso urbanistico. La veranda integra, infatti, un nuovo locale autonomamente utilizzabile, il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie.

Non è stata quindi seguita, nel concreto caso di specie, la tesi della società appellata, fatta valere in primo grado e riproposta nel giudizio di appello, secondo cui l’opera in contestazione (denominata «serra») era già stata autorizzata dal Comune. Infatti, le tavoli progettuali e la relazione tecnica della precedente concessione edilizia del 1999 ‒ la quale aveva espressamente assentito soltanto un intervento di «restauro e risanamento conservativo» della tettoria aperta a struttura verticale oggetto di un precedente condono edilizio (del 1986), e non una ristrutturazione edilizia volta creare un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente ‒ non contenevano la rappresentazione di un locale chiuso e neppure degli infissi posti a chiusura della veranda, mentre la struttura accertata ha tamponature laterali in vetro, presenta travi di sostegno per la copertura, nonché un massetto in c.a. a sostegno delle porte in vetri.

In definitiva, i giudici di appello non hanno dubitato della legittimità della sanzione irrogata dal Comune che, in ragione di quanto detto, assume una connotazione del tutto vincolata in rapporto alla realizzazione di una struttura comportante un ampliamento volumetrico e una modifica del prospetto dell’edificio, in mancanza del prescritto titolo edilizio ed in contrasto sostanziale con la strumentazione urbanistica.

Fonte: Massimario G.A.R.I. 

Per approfondire vai al testo integrale della sentenza 

Rodolfo Murra

(15 ottobre 2018)

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