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TAR BASILICATA

Annullamento del permesso di costruire e "legge Madia"

Sull'ammissibilitá del superamento del termine di 18 mesi.

Un Comune lucano nel giugno 2015 rilasciava un permesso di costruire per la edificazione di un fabbricato per civile abitazione. A seguito di invito all’autotutela di un confinante l’Ufficio tecnico comunale, dopo aver tempestivamente disposto la sospensione dei lavori di edificazione, annullava (appunto in via di autotutela) il permesso a costruire con atto del maggio 2017. Il provvedimento era motivato in considerazione del fatto che al momento del suo rilascio, lo stato di fatto e di diritto del terreno interessato dal costruendo fabbricato non corrispondeva a quello rappresentato in planimetria dal tecnico di parte e con la richiesta di rilascio del permesso di costruire, contravvenendo alle vigenti disposizioni normative del Piano Regolatore Generale e del Regolamento Edilizio sulle distanze dai confini e tra i fronti.

Il privato, destinatario del provvedimento di annullamento, insorgeva deducendo in primo luogo che l’atto sarebbe intervenuto oltre il limite temporale di 18 mesi previsto dall’art. 21-nonies, comma 1, della L. n. 241/1990.

Il TAR della Basilicata respingeva il ricorso con sentenza 5 novembre 2018 n. 725.

Preliminarmente, il Collegio ha chiarito che l’art. 21-nonies, comma 1, della L. 7 agosto 1990 n. 241, modificato dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), della L. 7 agosto 2015 n. 124 (c.d. “legge Madia”), è applicabile anche ai provvedimenti di primo grado adottati anteriormente al 28 agosto 2015, data di entrata in vigore della riforma recata dalla legge da ultimo citata, con l’avvertenza che in tali casi il termine massimo di diciotto mesi per l’esercizio dell’autotutela comincia a decorrere dalla predetta data, con scadenza, dunque, il 28 febbraio 2017.

Il TAR, inoltre, ha sancito che il comma 2-bis dell’art. 21-nonies cit. debba essere interpretato nel senso di consentire il superamento del termine di diciotto mesi, oltre che nel caso in cui vi sia stata una falsa attestazione inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo (occorrendo all’uopo un accertamento definitivo in sede penale), anche qualora l’erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente alla malafede o alla negligenza della parte.

In tal caso, non essendo ragionevole pretendere dall’incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva (non dovuta ad un ripensamento o ad errori dell’apparato), si deve esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco, fermo restando che la scorretta rappresentazione delle circostanze in fatto e in diritto da parte del privato esclude o comunque attenua fortemente la configurabilità, in suo favore, di una posizione di affidamento legittimo.

Ciò premesso, il provvedimento in contestazione non è stato qualificato “tardivo” in quanto:

– ricorreva il presupposto dell’erronea rappresentazione da parte dell’istante di una rilevante circostanza in diritto (la situazione dominicale dell’area su cui insiste l’attività edificatoria);

– rilevava non una falsa dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 (per la quale il superamento del termine dei diciotto mesi esige il previo giudicato penale di condanna), ma una scorretta rappresentazione dovuta quantomeno a negligenza della parte a fronte della quale, per le anzidette ragioni, l’esercizio dell’autotutela ultra diem deve ritenersi possibile a prescindere dalla pregiudiziale penale, in funzione dell’ordinato svolgimento dell’attività edificatoria e del rispetto dei canoni di lealtà, di clare loqui e di responsabilità che devono ispirare le relazioni tra i privati e l’Amministrazione;

– tale circostanza espone il privato ricorrente alle conseguenze della negligenza che gli è imputabile e, per converso, non può ridondare a pregiudizio dell’Amministrazione comunale che ha subito incolpevolmente la menomazione di alcune delle sue prerogative di controllo sulla corretta formazione del titolo edilizio;

– l’autotutela si è estrinsecata in coerenza con il canone di ragionevolezza, in quanto l’Amministrazione, una volta acquisito il fumus della possibile irregolarità (in data 13 giugno 2016), ha immediatamente avviato i necessari approfondimenti in contraddittorio con la ricorrente (il successivo giorno 20), adottando l’atto di annullamento in autotutela il 23 maggio 2017, a meno di tre mesi dalla scadenza del termine dei diciotto mesi;

– l’annullamento è stato giustificato dalla necessità di assicurare il rispetto delle “vigenti disposizioni normative del Piano Regolatore Generale e del Regolamento Edilizio sulle distanze dai confini e tra i fronti”, concretamente vulnerate dalla localizzazione del manufatto su terreno parzialmente condominiale, che hanno dato chiara evidenza agli interessi pubblici sottesi all’autotutela;

– in ottica di contemperamento delle posizioni contrapposte, è stato da un lato escluso il consolidamento in capo al ricorrente di un qualsivoglia affidamento legittimo meritevole di tutela, dall’altro è stato apprezzato come il tempo di reale efficacia del permesso a costruire si è comunque ridotto in concreto ad un anno, considerato che l’attività edificatoria è stata sospesa previa con tempestiva ordinanza comunale.

 

Mattia Murra

(14 novembre 2018)

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