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CORTE DI CASSAZIONE

Sopraelevazione di edificio priva di permesso di costruire: é opera precaria?

La Corte analizza il concetto di precarietá e affronta il tema della sanatoria rifiutata per silentium.

La Corte d'Appello di Catania, con sentenza del gennaio 2018 confermava la decisione con la quale il Tribunale di quella città aveva affermato la responsabilità penale dell’imputato per avere realizzato, in assenza del permesso di costruire e degli altri necessari titoli abilitativi, in zona sismica, opere edilizie consistenti nella sopraelevazione di un preesistente manufatto avente copertura ad una falda in legno e tegole, con piano di calpestio in lame inserite nelle pareti perimetrali e legno per una superficie di 35 mq ed un altezza al colmo di m. 3, completa di impianto idrico ed elettrico ed a cui si accede tramite scala interna ad una rampa in ferro, nonché una tettoia di metri quadri 8 con struttura in legno coperta da tegole. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, sostenendo che le opere realizzate non sarebbero suscettibili di permesso di costruire, trattandosi, inequivocabilmente, di opere amovibili e, quindi, sottratte alla disciplina di cui all'articolo 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.

Aggiungeva, poi, che per le opere in questione sarebbe stata presentata richiesta di sanatoria ed il relativo procedimento non sarebbe ancora esaurito, rilevando che il silenzio rifiuto cui faceva riferimento la Corte territoriale non si potrebbe configurare nella fattispecie, trattandosi di opere non rientranti nelle categorie previste dagli artt. 6 e 10 del citato T.U. n. 380/2001.

La Corte di cassazione, Sezione Terza, con sentenza n. 51599 del 15 novembre 2018, ha dichiarato inammissibile l’impugnativa perché basata su motivi manifestamente infondati.

I giudici, dopo aver preliminarmente rilevato che le opere realizzate devono essere apprezzate nella loro interezza, trattandosi di intervento organicamente finalizzato alla sopraelevazione ed all'ampliamento di un preesistente edificio, hanno ribadito il principio secondo il quale l'attività edilizia deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti.

Il Collegio, infatti, ha ricordato che l'art. 10, lett. a) del D.P.R. 380 individua, tra gli interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, quelli di nuova costruzione, la cui descrizione viene fornita dall'articolo 3 dello stesso T.U. nella lettera e), ove si specifica che si intendono come tali tutti gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti (che riguardano gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia).

La stessa disposizione specifica, poi, che sono comunque da considerarsi come interventi di nuova costruzione tutta una serie di opere singolarmente indicate in un elenco la cui natura è meramente esemplificativa e ricavata utilizzando le qualificazioni operate dalla giurisprudenza, come emerge dalla semplice lettura della relazione illustrativa al TU.

Il ricorrente riteneva, tuttavia, sottratte al regime del permesso di costruire le opere realizzate, assumendo che le stesse sarebbero "amovibili". L’opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull'originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo e la giurisprudenza ha costantemente affermato che l'intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l'agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso.

Ciò posto, i Giudici di legittimità hanno rilevato che l’evidente natura non precaria dell'intervento e la necessità, per la sua realizzazione, del permesso di costruire, risultavano adeguatamente apprezzati dai giudici del merito in considerazione delle caratteristiche e della destinazione delle opere, realizzate in sopraelevazione di un preesistente edificio, dotate di stabili impianti elettrico ed idrico con creazione di nuovi volumi con vani destinati ad uso abitativo ed adibiti a stanza da letto e bagno.

Per ciò che concerne, infine, la procedura di sanatoria, del tutto correttamente l’affermazione, del tutto apodittica, è stata ritenuta priva di fondamento, come emergeva chiaramente dalla semplice lettura della descrizione degli interventi eseguiti contenuta nel capo di imputazione ed, in ogni caso, l’eventuale amovibilità non assumerebbe comunque rilievo, essendo invece significativa la eventuale precarietà dell'intervento, comunque non sussistente nella fattispecie in esame.

L’art. 36 del T.U. n. 380 dispone, all'ultimo comma, che sulla richiesta di sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, poiché, decorso tale termine, la domanda si intende rifiutata.

Tale ultima evenienza configura, secondo un consolidato orientamento, una ipotesi di silenzio-rifiuto, al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego.

I giudici di legittimità hanno osservato che la mancata sospensione del procedimento da parte del giudice, inoltre, in assenza di una espressa previsione normativa e non configurandosi pregiudizi al diritto di difesa dell'imputato, potendo questi far valere l'esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva nei successivi gradi di giudizio, non determina alcuna nullità ed, inoltre, spiega i suoi effetti esclusivamente con riferimento agli interventi edilizi indicati nell'art. 36 del D.P.R. 380 e non anche ai reati esclusi dagli effetti estintivi determinati dal rilascio della concessione in sanatoria, quali quelli concernenti le violazioni della disciplina antisismica e sulle opere in conglomerato cementizio.

Rodolfo Murra

(20 novembre 2018)

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