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Lavoro

Licenziamenti collettivi: la sentenza della Corte UE

Il caso riguarda la risoluzione di un contratto, in seguito al rifiuto da parte del lavoratore di acconsentire a una modifica unilaterale e sostanziale, a suo svantaggio.

Interessante sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, nella causa C-422/14 Cristian Pujante Rivera / Gestora Clubs Dir, SL e Fondo de Garantía Salarial.

Secondo i giudici UE, la risoluzione di un contratto di lavoro in seguito al rifiuto da parte del lavoratore di acconsentire a una modifica unilaterale e sostanziale, a suo svantaggio, degli elementi essenziali di tale contratto costituisce un licenziamento ai sensi della direttiva sui licenziamenti collettivi.

Secondo la Corte, il fatto di considerare che la mancata accettazione da parte di un lavoratore di una riduzione salariale del 25 % non rientri nella nozione di licenziamento, priverebbe la direttiva della sua piena efficacia, pregiudicando la tutela dei lavoratori.

Per determinare l’esistenza di un licenziamento collettivo, una direttiva dell’Unione stabilisce che, ai fini del calcolo del numero dei licenziamenti, sono assimilate a questi le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque.

Secondo la legge spagnola, nelle imprese che occupano fra 100 e 300 lavoratori, per «licenziamento collettivo» s’intende la risoluzione di contratti di lavoro per cause oggettive, qualora, nell’arco di un periodo di 90 giorni, tale risoluzione riguardi almeno il 10 % del numero di lavoratori.

Il 3 settembre 2013 la società Gestora Clubs Dir, SL impiegava 126 dipendenti, di cui 114 con contratto a tempo indeterminato e 12 con contratto a tempo determinato. Nel periodo compreso tra il 16 e il 26 settembre 2013, la Gestora ha proceduto a 10 licenziamenti individuali per ragioni oggettive, tra cui quello del sig. Cristian Pujante Rivera.

Nei 90 giorni precedenti e successivi all’ultimo di tali licenziamenti per ragioni oggettive, hanno avuto luogo altre 27 risoluzioni contrattuali, dovute a cause diverse (come, in particolare, la scadenza dei contratti o la cessazione volontaria da parte dei lavoratori).

Tali cessazioni ricomprendono altresì quella di una lavoratrice che ha acconsentito alla risoluzione consensuale del contratto dopo essere stata informata della modifica delle proprie condizioni di lavoro (vale a dire una riduzione della retribuzione fissa nella misura del 25% e fondata sulle medesime cause oggettive già azionate nelle altre cessazioni avvenute tra il 16 e il 26 settembre 2013).

La Gestora ha successivamente riconosciuto che le modifiche del contratto di lavoro notificate alla lavoratrice avevano oltrepassato le modifiche sostanziali delle condizioni di lavoro consentite dalla legge spagnola e ha accettato di risarcire la lavoratrice.

Il sig. Pujante Rivera, dal canto suo, ha proposto ricorso contro la Gestora e il Fondo de Garantía Salarial (Fondo di garanzia salariale) dinanzi al Juzgado de lo Social n. 33 di Barcellona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna), ritenendo che la società avrebbe dovuto applicare la procedura di licenziamento collettivo.

Il giudice nazionale ha sottoposto alla Corte di giustizia varie questioni sull’interpretazione della direttiva.

Con la sentenza in esame, la Corte dichiara che i lavoratori che beneficino di un contratto concluso a tempo determinato o per un compito determinato devono essere considerati lavoratori «abitualmente» impiegati, ai sensi della direttiva, nello stabilimento interessato.

Se così non fosse, si rischierebbe di privare l’insieme dei lavoratori impiegati da tale stabilimento dei diritti loro conferiti dalla direttiva, ciò che comprometterebbe l’efficacia di quest’ultima.

Tuttavia, la Corte ricorda che i lavoratori i cui contratti cessino per scadenza regolare del termine convenuto non devono essere computati ai fini della determinazione dell’esistenza di un «licenziamento collettivo» conformemente alla direttiva.

La Corte aggiunge che, al fine di accertare l’esistenza di un licenziamento collettivo ai sensi della direttiva, la condizione che i licenziamenti siano almeno cinque non riguarda le cessazioni di contratti di lavoro assimilate a un licenziamento, bensì esclusivamente i licenziamenti in senso stretto.

Ciò risulta inequivocabilmente dal tenore stesso della direttiva e qualsiasi altra interpretazione volta ad estendere o a restringere il suo ambito di applicazione avrebbe l’effetto di privare di ogni effetto utile la condizione di cui trattasi, vale a dire «che i licenziamenti siano almeno cinque».

Infine, la Corte dichiara altresì che il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso rientra nella nozione di «licenziamento» ai sensi della direttiva.

La Corte ricorda che i licenziamenti si caratterizzano per la mancanza di consenso da parte del lavoratore.

Nella presente causa, la cessazione del rapporto di lavoro della lavoratrice che ha acconsentito alla risoluzione consensuale è imputabile alla modifica unilaterale apportata dal datore di lavoro a un elemento sostanziale del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona della lavoratrice stessa.

Tale cessazione costituisce quindi un licenziamento. Infatti, da un lato, poiché la direttiva è volta al rafforzamento della tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, la nozione di licenziamento non può essere interpretata restrittivamente.

Dall’altro, l’obiettivo dell’armonizzazione delle norme applicabili ai licenziamenti collettivi consiste nel garantire una protezione di analoga natura dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e nell’uniformare gli oneri che tali norme di tutela comportano per le imprese dell’Unione.

La nozione di licenziamento condiziona direttamente l’applicazione della tutela e dei diritti predisposti dalla direttiva a favore dei lavoratori. Tale nozione incide, quindi, direttamente sugli oneri per l’impresa che la tutela dei lavoratori comporta.

Di conseguenza, qualsiasi normativa nazionale o interpretazione che conduca a ritenere che, in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, la risoluzione del contratto di lavoro non costituisca un licenziamento ai sensi della direttiva altererebbe l’ambito di applicazione di quest’ultima, privandola così della sua piena efficacia.

Vai al testo della Sentenza

Fonte: Corte di Giustizia Europea

 

Moreno Morando

(15 novembre 2015)

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