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Inchieste

Affare Eni Nigeria: facciamo un po' di chiarezza

Il ruolo del ministro del petrolio nigeriano Etete. La partnership con Shell. Il valore del giacimento petrolifero. Ma soprattutto il teorema della procura di Milano e il rischio di un nuovo caso Mediatrade.

Il presunto "scandalo" della maxitangente pagata da Eni in Nigeria rischia di causare un enorme danno d'immagine alla più importante azienda italiana, ma anche, di riflesso, alla procura di Milano. In questo breve reportage cercheremo di capirne di più. Partiamo dall'oggetto del contendere: una licenza petrolifera per lo sfruttamento di un block denominato OPL 245. Il block (tecnicamente un'area ben definita all'interno della quale è possibile estrarre petrolio o fare ulteriori ricerche dell'oro nero), ha un potenziale stimato di circa 9 miliardi di barili di petrolio e un quantitativo incalcolabile di gas. Si tratta di  un quantitativo che basterebbe a fornire energia all'intero continente africano per più di 7 anni. Dunque vale la pena specificare in partenza che il valore del blocco supera ampiamente il miliardo di dollari pagato da Eni e Shell al governo nigeriano nel 2011. 

Ma per un attimo concentriamoci sul contesto: la Nigeria. Qui operano da anni altri operatori dell'O&G. In particolare a farla da padroni sono i colossi statunitensi Chevron ed Exxon-Mobil, nonché l'olandese Shell. Ed è proprio l'alleanza con Shell ad aver permesso all'Eni di ampliare la propria presenza in Nigeria anche attraverso il block OPL 245. Tanto più che il blocco è situato in vicinanza di un altro giacimento sfruttato da Eni (il block OPL 244) che opera in Nigeria attraverso la Nigerian Agip Exploration Limited.

In questo ambiente altamente competitivo va aggiunto l'ingrediente corruzione. La Nigeria è nota per essere fra le 40 nazioni più corrotte al mondo, secondo le stime di Transparency International. Non stupirà apprendere dunque che il ministro del petrolio nigeriano, Dan Etete, già noto per condanne per riciclaggio di denaro e altri ameni crimini finanziari, nel 1998 aveva costituito una società denominata Malabu Oil and Gas, registrata col falso nome di Kweku Amafegha, per concederle poi, dall'alto della sua carica ministeriale, la licenza di sfruttamento di OPL 245. 

Ci sono voluti poi ben 12 anni per rivendere questa licenza a Shell e ad Agip (controllata dell'Eni operante in Nigeria). E anche questa volta Etete agisce mescolando legalità a illegalità: il deal viene siglato fra il governo nigeriano e la partnership Eni-Shell (non direttamente fra questi ultimi e la Malabu). Ed è in un conto del governo che finisce il miliardo di dollari. Eni ottiene un formidabile risultato in un'area nella quale la sua influenza è limitata dalla presenza di altri big del settore. Ed Etete pensa subito ad incassare il denaro. Come ha documentato in una sua dettagliata inchiesta il Sole 24 Ore, i soldi sono sempre stati gestiti dal ministro Etete che ha cercato prima di farli arrivare in Svizzera, poi in Libano e infine in Nigeria

Ma qualcosa va storto. Degli intermediari della Malabu, la società di Etete originariamente intestataria della licenza, rivendicano una fetta della torta. Così un nigeriano e un azero fanno causa ad Etete presso la High Court di Londra, reclamando il pagamento di consulenze da parte della Malabu. Ed è nell'ambito di questa inchiesta che Etete tira in ballo Scaroni e l'establishment di Eni, accusandoli di aver messo sulla sua strada gli intermediari al solo fine di convincerlo a vendere la licenza ad Eni e di intascare privatamente parte del prezzo pattuito. Il principale obiettivo di Etete è quello di non sborsare un singolo penny per gli intermediari di cui pure necessariamente dev'essersi servito nelle trattative. Va da sé che la corte londinese non ha dato credito alla versione di Etete e ha condannato nel luglio 2013 la Malabu a pagare 110,5 milioni di dollari al consulente Emeka Obi della Energy Venture Partners. 

Dopo un anno ecco tornare all'assalto la procura di Milano che a quanto pare sposa in pieno la tesi dell'ex ministro del petrolio nigeriano, già condannato, tanto per fare un esempio, da un tribunale francese per riciclaggio di denaro nel 2007. Secondo la procura: "Etete non può essere considerato un mero 'vendor' del blocco. Egli è stato necessariamente parte dell'azione delittuosa dal momento che il suo consenso alla vendita era obbligatorio per riuscire a definire l'affare illegale".
Di più, negli atti della procura di Milano è scritto nero su bianco: "si ritiene che Scaroni (all'epoca Ad di Eni) e Descalzi (all'epoca capo della principale divisione dell'Eni, Exploration & Production e al momento attuale Ad dell'Eni) abbiano organizzato e diretto l'attività illecita". 

In tutto questo teorema della procura resta da capire: 

a. come sia possibile che Shell, la preminente società di O&G in Nigeria, detentrice dell'altro 50% del blocco in questione non abbia alcuna complicità con Eni nella presunta maxitangente;

b. se davvero parte dei soldi intascati dal ministro Etete siano finiti su conti ascrivibili a dirigenti Eni;

c. in che modo l' "affare" sarebbe illegale dal momento che il contratto è stato siglato fra Eni Shell e il governo nigeriano.

Tutto il resto è una pura costruzione retorica: dalla possibilità che parte dei soldi intascati da Etete siano stati usati per acquistare armi, alla possibilità che l'intera somma sia stata una sola enorme tangente. Teorie diffuse sui media partendo quasi dal presupposto che OPL 245 e tutto il suo enorme giacimento di petrolio praticamente non esista o non valga un solo scellino. 

Allo stato attuale delle indagini sembrerebbe dunque che ci si trovi dinanzi ad una inchiesta analoga a quella che ha condotto al processo Mediatrade. Processo risoltosi, dopo tanto clamore e presunte trame occulte, in un nulla di fatto. La differenza in questo caso è che al centro dell'interesse dei giudici non c'è Silvio Berlusconi, ma il colosso dell'energia nazionale. Colosso detenuto ancora parzialmente dal Ministero dell'Economia che intende mettere sul mercato entro il 2014 un 5% del suo valore azionario. 

Francesco Colafemmina

(13 settembre 2014)

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