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Reati contro il patrimonio

Trasferimento all'estero di cose di interesse artistico: sì alla confisca anche senza responsabilità penale

I principi sanciti dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione nell'esportazione abusiva di beni culturali.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 42458 (udienza del 10.6.2015) deposito del 22.10.2015 in materia di abusivo trasferimento all’estero di cose di interesse artistico, ha affermato che la confisca obbligatoria prevista dall’art. 174 d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, non ha una funzione sanzionatoria ma è una misura recuperatoria di carattere amministrativo e che la sua applicazione può prescindere dall’accertamento della responsabilità penale.

In materia di beni culturali, infatti, è prevista una specifica ipotesi di confisca obbligatoria disciplinata dall'art. 174 del Dlgs. N. 42 del 2004 che punisce chiunque trasferisce all'estero cose d'interesse storico, artistico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate nell'articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, stabilendo al comma 3 che il giudice dispone la confisca delle cose, salvo che questi appartengano a persona estranea al reato e disponendo che la confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando. 

Il principio di diritto ormai consolidato in materia è che la confisca prevista per il reato di esportazione abusiva di beni culturali va disposta, oltre che in caso di pronuncia di condanna, anche in ipotesi di proscioglimento per cause, come la declaratoria di estinzione del reato perprescrizione, che non riguardino la materialità del fatto e non interrompano il rapporto tra la "res" ed il reato.

Sui beni culturali vige, infatti, una presunzione di proprietà pubblica con la conseguenza che essi appartengono allo Stato italiano in virtù della legge la cui disciplina è rimasta invariata con l'introduzione del decreto legislativo n. 42 del 2004. 

Sono fatte salve ipotesi tassative e particolari, nelle quali il privato che intenda rivendicare la legittima proprietà di reperti archeologici deve fornire la relativa, rigorosa prova, dimostrando che: 

1) i reperti gli siano stati assegnati in premio per il loro ritrovamento; 

2) i reperti gli siano stati ceduti dallo Stato; 

3) i reperti siano stati acquistati in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 364 del 1909. 

Dal complesso delle disposizioni, contenute nel codice civile e nella legislazione speciale, regolante i ritrovamenti e le scoperte archeologiche, ed il relativo regime di appartenenza, si ricava il principio generale della proprietà statale delle cose d'interesse archeologico, e della eccezionalità delle ipotesi di dominio privato sugli stessi oggetti. 

Nel caso giunto all'attenzione della Suprema Corte, sebbene il procedimento penale non si sia concluso con una affermazione di responsabilità, il ricorrente non ha fornito alcuna prova idonea a vincere la presunzione di proprietà statale sui beni staggiti e tale prova tanto meno sarebbe stata fornita qualora, nel corso del procedimento penale, si fosse dato ingresso al richiesto incidente probatorio in quanto la testimonianza, della quale si chiedeva l'assunzione, avrebbe potuto al massimo escludere la responsabilità penale del ricorrente ma non certo fornire la prova della legittima proprietà sui beni. 

In buona sostanza, la confisca dei beni culturali esportati illecitamente risponde a una finalità essenzialmente recuperatoria di una res extra commercium insuscettibile di essere sottratta al patrimonio culturale italiano, essendone inibita, da un lato, la fuoriuscita dal territorio nazionale e, dall'altro, la sottrazione al dominio che lo Stato esercita su di essa. 

Sicché, secondo la volontà del legislatore, una volta accertata la circostanza di fatto della illecita esportazione del bene culturale, la confisca, salvo che la cosa appartenga a persona estranea al reato, è obbligatoria dovendo necessariamente essere ripristinato il patrimonio culturale italiano leso dall'appropriazione illecita del bene da parte del privato, che può anche non essere l'autore del reato. 

Da ultimo la Suprema Corte ha precisato che in subiecta materia non rilevano i principi affermati dalla Corte Edu nel caso Varvara c. Italia in quanto, trattandosi di beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, il provvedimento ablativo non incide sul diritto di proprietà privata.

Fonte: Corte di Cassazione

Enrico Michetti

La Direzione

(29 novembre 2015)

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