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Corte di Cassazione

L'immigrato deve conformarsi ai valori del paese ospitante

Nessun credo religioso può legittimare il porto di armi in luogo pubblico o di oggetti atti ad offendere. Il caso dell'indiano Sikh che voleva girare con il coltello sacro.

Era stato condannato alla pena di euro 2000 di ammenda per il reato previsto dall'art. 4 legge n. 110 del 1975, perché trovato dalla polizia locale in possesso di un coltello della lunghezza complessiva di cm 18,5 Ed invitato a consegnarlo, si era rifiutato sostenendo che il comportamento si conformava ai precetti della sua religione, essendo egli un indiano "SIKH". 

Secondo il giudice di merito, le usanze religiose integravano mera consuetudine della cultura di appartenenza e non potevano avere l'effetto abrogativo di norma penale dettata a fini di sicurezza pubblica.

 Avverso questa sentenza l'Indiano ha presentato ricorso personalmente chiedendone l'annullamento in quanto a suo dire il porto di coltello era giustificato dalla sua religione e trovava tutela dell'articolo 19 della Costituzione. Il coltello (KIRPAN), come il turbante, era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso.

La Corte di Cassazione Sezione Prima, con sentenza n. 24084  pubblicata il 15 maggio 2017 (Presidente: MAZZEI Relatore: NOVIK ADET - Data Udienza: 31/03/2017) ha rigettato il ricorso rilevando in primo luogo che il reato contestato ha natura contravvenzionale, è punito anche a titolo di colpa, ed è escluso se ricorre un "giustificato motivo". Per fare alcuni esempi, è giustificato il porto di un coltello da chi si stia recando in un giardino per potare alberi o dal medico chirurgo che nel corso delle visite porti nella borsa un bisturi; per converso, lo stesso comportamento posto in essere dai medesimi soggetti in contesti non lavorativi non è giustificato e integra il reato. 

Nel caso specifico, la sentenza impugnata da' atto che, al momento del controllo di polizia, l'imputato si trovava per strada e teneva il coltello nella cintola. A fronte della allegazione di circostanze di obiettivo rilievo dimostrativo, scatta l'onere dell'imputato di fornire la prova del giustificato motivo del trasporto. L'imputato ha affermato che il porto del coltello era giustificato dal credo religioso per essere il Kirpan "uno dei simboli della religione monoteista Sikh" e ha invocato la garanzia posta dall'articolo 19 della Costituzione. 

La Cassazione nella sentenza in esame non ha ritenuto che il simbolismo legato al porto del coltello possa comunque costituire la scriminante posta dalla legge. 

Si legge testualmente "In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l'identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l'integrazione non impone l'abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell'art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l'obbligo per l'immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone il rispetto e non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante.

La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l'unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere. Nessun ostacolo viene in tal modo posto alla libertà di religione, al libero esercizio del culto e all'osservanza dei riti che non si rivelino contrari al buon costume. Proprio la libertà religiosa, garantita dall'articolo 19 invocato, incontra dei limiti, stabiliti dalla legislazione in vista della tutela di altre esigenze, tra cui quelle della pacifica convivenza e della sicurezza, compendiate nella formula dell'. Nello stesso senso, si muove anche l'articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo che, al secondo comma, stabilisce che «La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell'ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui. >>. 

La giurisprudenza europea, a proposito del velo islamico, ha riconosciuto che lo Stato può limitare la libertà di manifestare una religione se l'uso di quella libertà ostacola l'obiettivo perseguito di tutela dei diritti e delle libertà altrui, l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica. Nella causa Eweida e altri contro Regno Unito del 15 gennaio 2013, la Corte ha riconosciuto la legittimità delle limitazioni alle abitudini di indossare visibilmente collane con croci cristiane durante il lavoro e ha suffragato l'opinione ricordando che, nello stesso ambiente lavorativo, dipendenti di religione Sikh avevano accettato la disposizione di non indossare turbanti o Kirpan (in questo modo dimostrando che l'obbligo religioso non è assoluto e può subire legittime restrizioni)".

Pertanto - conclude la Suprema Corte - va affermato il principio per cui nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere.

Enrico Michetti 

 

 

La Direzione

(17 maggio 2017)

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