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Edilizia

La pergotenda: come ti trasformo il giardino in un ambiente chiuso

I giudici amministrativi, dinanzi al dilagare di roof garden “cabriolet”, hanno iniziato a mostrare una più marcata severità sotto il profilo della conformità alle norme edilizie.

Un escamotage che molte strutture ricettive o comunque esercizi di somministrazione di alimenti e bevande utilizzano per poter, ampliando all’esterno delle mura del locale la propria attività, evitare di richiedere il permesso a costruire; un espediente neppure tanto ingegnoso da utilizzare per opporre al tecnico od alla guardia comunale che non serve alcuna autorizzazione per la relativa installazione: parliamo della famigerata “pergotenda”, una struttura in pvc, spesso rettrattile (con o senza motorizzazione) che dà vita ad una copertura di spazi in verità originariamente aperti e che diventano, in pochi secondi, veri e propri ambienti di lavoro.

La pergotenda è l’uovo di colombo, ad esempio, di molti ristoratori: tensostruttura (sorretta da montanti di metallo imbullonati al suolo e formata da eleganti teli di plastica) servente una chiostrina, un giardino, uno spazio aperto verso il cielo ed i lati che, miracolosamente, si trasforma in un confortevole ambiente (anche nei mesi freddi) ove poter consumare un pasto, sorseggiare una bevanda, fare quattro chiacchiere dinanzi ad un caffè.

Finalmente, anche i giudici amministrativi, dinanzi a questo dilagare di roof garden “cabriolet”, hanno iniziato a mostrare una più marcata severità sotto il profilo della conformità della pergotenda alle norme edilizie.

Com’è il recente caso del TAR Brescia, che con la sentenza n. 600 del 4 giugno scorso, ha ritenuto bisognosa del rilascio del permesso di costruire una tensostruttura, realizzata a servizio di un deposito di mezzi destinati al trasporto, estesa per circa 55 metri quadri. I giudici lombardi infatti, hanno stabilito che anche quando la struttura è dotata di meccanismi che la rendono retrattile, la sua realizzazione non si colloca nell’attività edilizia “libera” (ex art. 6 del DPR n. 380 del 2001), né può pensarsi di assimilarla alle serre mobili stagionali (comma 1e), in quanto non presenta un’utilizzazione differenziata nel corso dell’anno, né alle opere contingenti e temporanee destinate a essere rimosse entro 90 giorni (comma 2b), essendo evidente che l’utilità del manufatto non comporta alcuna precarietà, né alle aree di sosta esterne contenute nei limiti dell’indice di permeabilità (comma 2c), in quanto oltre alla platea in calcestruzzo esiste un volume reale o virtuale, e neppure – infine – alle modifiche della destinazione d'uso dei locali aziendali (comma 2ebis), in quanto non si sostituisce a un preesistente spazio attrezzato qualificabile come locale dell’impresa.

Dunque, andando per esclusione, la categoria in astratto di intervento edilizio più confacente al caso di specie è quella della nuova costruzione, nella enunciazione che ne fa la prima parte dell’art. 3 comma 1e.5 del Testo Unico dell’edilizia (manufatti leggeri utilizzati come ambienti di lavoro oppure come depositi e magazzini, non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee). Con il che è richiesto il previo rilascio del permesso di costruire.

Rodolfo Murra

(10 giugno 2014)

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