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Corte di cassazione

Estorsione: c'è il reato anche senza l'effettiva intimidazione e l'aggravante pure per il "cane sciolto"

Il reato è consumato anche se la vittima agisce come agente provocatore. La sentenza del 20 febbraio 2017.

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Una vicenda spesso nota alla cronaca è quella esaminata dalla Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un "cane sciolto" (così è stato definito dal suo avvocato nel ricorso) contro l'ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per il reato di estorsione continuata ed aggravata, per essersi ripetutamente presentato al titolare di un ristorante, anche in compagnia di altri soggetti, richiedendogli somme di danaro "a titolo di regalo" ed ottenendo, nell'ultima occasione monitorata dalla polizia giudiziaria e culminata con l'arresto in flagranza, la somma di 1000 euro, evocando a più riprese la propria vicinanza ad un esponente di una cosca 'ndranghetista.

La tesi sostenuta dal "cane sciolto" è stata quella che non ricorresse il reato di estorsione mancando nella vicenda in esame qualsiasi timore procurato nella vittima. La Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale con sentenza pubblicata in data 20 febbraio 2017 (Presidente: DIOTALLEVI Relatore: SGADARI Data Udienza: 1.2.2017) ha, per contro, chiarito che ai fini della configurabilità del reato di estorsione, il carattere minaccioso della condotta e la idoneità della stessa a coartare la volontà del soggetto passivo, vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, non rendendosi necessario che si sia verificata l'effettiva intimidazione del soggetto stesso.

Ne consegue che il reato, nel caso in esame, deve ritenersi configurato per il solo fatto che il ricorrente aveva chiesto somme di danaro evocando la sua vicinanza con un soggetto molto noto appartenente alla criminalità organizzata radicata nel territorio dove la vittima svolgeva la sua attività commerciale.

Inoltre, per i giudici di Palazzaccio correttamente il Tribunale ha qualificato il fatto come reato consumato e non tentato, nonostante l'intervento programmato delle forze dell'ordine dopo la consegna del danaro dalla persona offesa al ricorrente - a nulla rilevando che la vittima abbia agito come agente provocatore. Per consolidata giurisprudenza si ha consumazione e non mero tentativo del delitto di estorsione, allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all'estorsore e ciò anche nelle ipotesi in cui sia predisposto l'intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all'arresto del reo ed alla restituzione del bene all'avente diritto.

Infine, è risultato del tutto privo di significatività, ai fini della sussistenza dell'aggravante dell'uso del metodo mafioso, la circostanza che il ricorrente avesse agito come "cane sciolto", per usare le parole del ricorso, vale a dire millantando la sua vicinanza con il soggetto criminale evocato alla vittima per incuterle maggior timore e rendere cogente la pretesa illecita.

Infatti, la Corte di cassazione ritiene, in proposito, che la circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso, è configurabile a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto.

Fonte: Massimario Gazzetta Amministrativa

Enrico Michetti

La Direzione

(26 febbraio 2017)

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