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CONSIGLIO DI STATO

Diniego di cittadinanza italiana per pregressa condanna penale

L'importanza della motivazione del provvedimento del Ministero.

Il Ministero dell’Interno rigettava l’istanza di naturalizzazione presentata da un cittadino straniero nel gennaio 2008, presentata ai sensi dell'art. 9 comma 1, lett. f della L. 5 febbraio 1992 n. 91, disposizione riferita all’ipotesi dello straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.

Il provvedimento era motivato sulla base di elementi ritenuti indicativi di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale e di una conseguente dissociazione tra l’interesse pubblico e quello del richiedente al conseguimento dello status civitatis italiano.

Dal certificato del casellario giudiziale relativo all’istante è infatti emersa una condanna per incauto acquisto ai sensi dell’art. 712 c.p. (divenuta irrevocabile nel luglio 2009) alla pena di €. 2.280,00 di ammenda, adottata in quanto lo straniero, nel marzo del 2008, aveva acquistato, senza prima averne accertata la legittima provenienza, un computer, poi risultato provento di furto, vendutogli in un ristorante da un soggetto a lui sconosciuto.

Adito il TAR, il collegio di primo grado ha respinto il ricorso, ritenendo che il contegno contestato in sede penale allo straniero era comunque valutabile come fatto storico, indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza.

Il privato ha proposto appello.

Con sentenza n. 3121 del 14 maggio 2019 il Consiglio di Stato, III Sez., ha accolto l’appello.

Il Collegio ha preso le mosse, innanzitutto, dall’orientamento giurisprudenziale secondo la quale la concessione della cittadinanza italiana è atto ampiamente discrezionale, che non solo deve tenere conto di fatti penalmente rilevanti, esplicitamente indicati dal legislatore, ma che deve valutare anche l'area della loro prevenzione e, più in generale, della prevenzione di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale.

Il portato di discrezionalità che connota l’atto in questione implica accurati apprezzamenti da parte dell’Amministrazione sulla personalità e sulla condotta di vita dell'interessato e si esplica in un potere valutativo circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta.

Da ciò deriva che l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale è legittimo allorquando quest'ultimo dimostri di possedere ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità e sia detentore di uno status illesae dignitatis morale e civile, nonché di un serio sentimento di italianità che escluda interessi personali e speculativi sottostanti alla richiesta di naturalizzazione.

Quanto all’onere motivazionale, il Collegio ha ribadito che il provvedimento di diniego della richiesta cittadinanza italiana non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie sulla base delle quali si è addivenuti al giudizio di sintesi finale, essendo sufficiente quest'ultimo laddove una più particolareggiata ostensione dei dati rilevanti potrebbe in qualche modo compromettere l'attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti ed anche le connesse esigenze di salvaguardia della incolumità di coloro che hanno effettuato le indagini.

Tuttavia, se è l’attenzione alla salvaguardia delle attività preventive e di indagine che giustifica una esplicazione in termini sintetici dell’onere motivazione, deve per contro ritenersi che - nei casi in cui tale preminente esigenza non si ponga - l’obbligo di cui all’art. 3 della L. 241 del 1990 torni a vigere nella sua più ordinaria dimensione e, quindi, in termini proporzionati alla varietà delle circostanze meritevoli di considerazione nel giudizio discrezionale dell’amministrazione.

Dunque, il provvedimento di relativo diniego della concessione non è sindacabile per i profili di merito della valutazione dell'Amministrazione.

Tutto ciò detto, il giudice di appello ha osservato che il provvedimento ministeriale controverso non fa alcun cenno né al particolare disvalore della condotta sanzionata rispetto ai principî fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata della incolumità pubblica; né alla condizione sociale dello straniero, limitandosi a constatare in modo meccanicistico, a fronte del fatto storico di reato e nonostante la intervenuta estinzione, la mancata coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza italiana sul rilievo che «la condanna subita è comunque indice di inaffidabilità del richiedente e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale desumibile anche dal rispetto delle norme penali».

E’ risultata del tutto obliterata, dunque, la valutazione degli elementi riportati in sede procedimentale dall’appellante e rappresentativi della sua prolungata permanenza in Italia in condizione di piena e sana integrazione nel tessuto sociale.

In relazione a fattispecie non automaticamente preclusive come quella che qui rileva, una volta accertata la situazione pericolosa tipica e l’offesa ad essa sottesa, resta sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della specifica manifestazione del fatto incriminato e al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nel quale la condotta si inserisce e, di conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole che essa può assumere nel giudizio di meritevolezza al conseguimento dello status invocato.

Sotto questo profilo la Sezione ha rilevato che, nel caso di specie, l’incauto acquisto era avvenuto con modalità (per l’oggetto e il contesto di luogo) che connotano di oggettiva lievità la contravvenzione; che nell’immediatezza della contestazione il ricorrente ha tenuto una condotta pienamente collaborativa con l’Autorità inquirente, presentandosi subito agli uffici della Polizia postale e riconsegnando l'oggetto acquistato; che al di fuori della contravvenzione sanzionata nel 2009, e poi dichiarata estinta, l’istante non annovera altri precedenti pregiudizievoli o fatti di rilievo in grado di macchiarne la condotta civile.

In siffatto contesto, allora, l’Amministrazione non poteva, nel denegare il riconoscimento della cittadinanza per naturalizzazione richiesto ai sensi dell’art. 9 della L. n. 92 del 1991, fondare il proprio giudizio di mancato inserimento sociale sull’astratta tipologia del reato e sulla sua pericolosità, astratta o presunta, senza apprezzare tutte le circostanze del fatto concreto e, benché la sua valutazione sia finalizzata a scopi autonomi e diversi da quella del giudice penale che ha concesso l’estinzione del reato, esimersi da una considerazione in concreto della condotta sanzionata, delle sue modalità, del suo effettivo disvalore come anche della personalità del soggetto.

 

Mattia Murra

(14 maggio 2019)

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