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Corte di cassazione

Diffamazione a mezzo di social network: niente reato senza una corretta individuazione dell'autore

La Corte evidenzia l'infondatezza degli indizi a fronte dell'omessa individuazione dell'indirizzo IP.

Qualche anno fa su una bacheca presente in un social network comparve un commento lesivo dell’onore del Sindaco di un paese pugliese, riferibile al profilo di un soggetto che spendeva il proprio nome e cognome. Denunciato, costui, per diffamazione veniva condannato in primo grado ed in appello sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) era certo l’autore del commento, provenendo da un profilo che riportava il suo nome e cognome e che, dunque, veniva reputato appartenere all’imputato;

b) era perfettamente compatibile con l’imputato la natura dell'argomento di discussione del forum, di interesse dello stesso a causa della sua qualifica professionale;

c) non risultava che l’imputato avesse mai lamentato che altri avessero usato il suo nome e cognome abusivamente, né ha mai denunciato alcuno per furto di identità.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato, contestando il criterio di valutazione della prova ed assumendo che: 1) è mancata l’identificazione dell'indirizzo IP di provenienza del post; 2) la mancanza di conoscenza della persona del Sindaco da parte dell’imputato e l'assenza di qualsiasi contrasto con il predetto; 3) il diverso ambito di interesse dell'attività svolta dall’imputato rispetto a quello degli utenti del forum, appartenenti alla categoria dei lavoratori cd. socialmente utili del Comune.

La Suprema Corte (V Sezione), con sentenza del 5 febbraio 2018, accoglieva il ricorso e disponeva il giudizio di rinvio dinanzi a diversa Sezione della Corte di appello, censurando la motivazione della sentenza di appello che non si è confrontata con le specifiche lagnanze mosse dalla difesa; in particolar modo l’intestazione dell'IP, individuato in origine dalla parte civile, era riferibile al profilo registrato a nome di altro soggetto sulla cui bacheca virtuale intervenivano numerosi utenti che ben avrebbero potuto utilizzare il nickname del ricorrente.

Né la motivazione della Corte territoriale si è confrontata con l'argomento difensivo secondo il quale, a prescindere dal nickname utilizzato, l'accertamento dell'IP di provenienza del post poteva essere utile per verificare, quanto meno, il titolare della linea telefonica associata. Infine la motivazione del provvedimento impugnato non si è confrontata neppure con l'argomento relativo alla dedotta carenza istruttoria circa la verifica tecnica di tempi ed orari della connessione, risultando peraltro in ogni grado del giudizio di merito che l’imputato aveva contestato la paternità del post.

La palla, ora, ripassa alla Corte di appello pugliese, per il rinnovo dell’istruttoria.

Fonte: Massimario G.A.R.I.

Rodolfo Murra

(19 febbraio 2018)

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