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TAR LAZIO

All'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non consegue automaticamente il diritto al risarcimento

All'hotel fu impedito (illegittimamente) di ospitare due concorsi pubblici: che tipo di ristoro gli spetta?

Una società che amministra un noto complesso alberghiero capitolino celebre anche per ospitare le prove di mega-concorsi pubblici, evocando in giudizio Roma Capitale, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Sindaco di Roma Capitale in qualità di Commissario delegato, ricorreva innanzi al T.A.R. Lazio per la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti per effetto dell’ordinanza sindacale del 17 maggio 2012 (nonché di una successiva nota del mese di luglio).

Il menzionato provvedimento, adottato dal primo Cittadino di Roma ma nella qualità di Commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza nel settore traffico e della mobilità nel territorio della capitale,  aveva ad oggetto “…l’individuazione di misure efficaci per la disciplina del traffico e della mobilità in occasione dello svolgimento delle prove selettive nei concorsi pubblici”; l’atto prevedeva che, a fronte di constatati e frequenti disagi nella circolazione veicolare e nella mobilità occorsi in occasione dello svolgimento di prove selettive pertinenti a pubbliche procedure concorsuali, nel territorio di Roma Capitale potessero svolgersi esclusivamente prove con un numero di candidati non superiore a 3.000. Per tutte le selezioni che contavano un numero maggiore di partecipanti, il Sindaco di Roma aveva previsto infatti che le prove di concorso si svolgessero in strutture collocate fuori dall’area metropolitana di Roma Capitale ovvero in molteplici strutture site all’interno del Grande Raccordo Anulare, così da suddividere i partecipanti in diversi gruppi e non superare il “tetto numerico” di cui all’ordinanza impugnata. Con la nota del luglio 2012, poi, l’Amm.ne negava la possibilità di accordare una proroga ad hoc, rispetto al limite numerico stabilito nell’ord.za sindacale, richiesta solo per due concorsi da espletarsi a breve e già oggetto di contratto stipulato con gli organizzatori.

E’ superfluo rilevare che la città di Roma si presenta da sempre come centro nevralgico per la moltitudine di prove selettive e concorsuali nazionali. Basti pensare, a meri fini esemplificativi, all’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione forense – che ogni anno conta circa 5.000 partecipanti per un totale di tre giorni di esame – ovvero al concorso da uditore giudiziario, il quale annovera circa 6.000 persone ogni anno per quattro diversi giorni.

Orbene, con il contenzioso oggetto del presente commento, la società agiva per la condanna di Roma Capitale al risarcimento dei danni patiti per l’effetto dell’ordinanza del 12 maggio 2002, con specifico riferimento patrimoniale all’impossibilità, per la società ricorrente, di “ospitare” due concorsi numericamente considerevoli, ovverosia il concorso notarile e l’esame di abilitazione alla professione forense, già calendarizzati all’epoca della proposizione dell’atto introduttivo della relativa controversia. 

Va detto che i magistrati di Via Flaminia avevano inizialmente deciso la sospensione dell'originario giudizio proposto contro la legittimità degli atti comunali in attesa dell’esito riservato alla questione di legittimità costituzionale sollevata da alcune Regioni avverso l’art. 1 comma 422 L. n. 147 del 2013 (sulla titolarità della legittimazione passiva una volta cessato lo stato emergenziale). Posto che la Corte delle leggi, con sentenza n. 8 del 2016, ha dichiarato l’infondatezza della questione, il processo è dunque proseguito nei soli confronti dell’Ente locale, con estromissione delle altre parti pubbliche evocate in origine. E, con sentenza n. 7734/2015, il TAR annullava gli atti gravati (per difetto di adeguata istruttoria), aprendo la strada così alla richiesta risarcitoria.

Con la sentenza n. 8298, pubblicata il 25 giugno 2019, la Sezione Prima Quater del T.A.R. per il Lazio ha accolto il ricorso condannando Roma Capitale a liquidare in favore della parte ricorrente a titolo di risarcimento del danno le somme enunciate in motivazione (poco più di 300.000 Euro), non per l’ord.za sindacale (pure illegittima) quanto per la successiva nota del luglio 2012. Infatti, il Tar ha osservato, preliminarmente “che l’addebito in capo alla P.A. della responsabilità aquiliana per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, ai sensi dell’art. 2043 c.c., attraverso il riconoscimento del diritto dal risarcimento del danno, non consegue in modo automatico dall’annullamento di un atto illegittimo da essa adottato, atteso che il rinvio al sistema delle presunzioni semplici […] induce a ritenere che l’illegittimità del provvedimento annullato costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza dell’Amministrazione”.

Ai fini della configurabilità di un pregiudizio risarcibile, i Magistrati Amministrativihanno continuato stabilendo che “…ai sensi dell’art. 2043 c.c. occorre accertare, innanzitutto, la sussistenza di una condotta dolosa o colposa imputabile all’Amministrazione che ha adottato il provvedimento illegittimo; occorre poi verificare che quest’ultimo sia eziologicamente collegato all’evento dannoso e che sia stato provocato un danno ingiusto suscettibile di riparazione pecuniaria”.

L’ingiustizia del danno, a valle di parte dell’orientamento giurisprudenziale appena riportato, non può essere considerata sussistente in re ipsa, quale mera conseguenza dell’illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa, dovendo il giudice procedere ad accertare che sussista un evento dannoso, che il pregiudizio sia qualificabile come ingiusto e che l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A., nonché imputabile a sua responsabilità anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa. E’ necessario, dunque, accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l‘adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, corollari imprescindibili dell’operato dell’Amministrazione pubblica.

Alla stregua di tali considerazioni, il Collegio giudicante ha dunque ritenuto che il complessivo quadro fattuale nel cui ambito si è inserita l’Ordinanza sindacale del 17 maggio 2002, la novità della fattispecie inerente la gestione commissariale del traffico della capitale, all’interno di un tessuto urbano molto complesso e stratificato, tanto da impedire una modernizzazione della rete viaria e dei trasporti pubblici, l’urgenza di provvedere in un ambito assolutamente inidoneo ad assorbire persino l’afflusso dell’utenza cittadina, pur essendo ridondato in un sicuro deficit istruttorio e motivazionale, non è di per sé sufficiente a ritenere che sussista anche l’elemento soggettivo della colpa: con conseguente esclusione di responsabilità.

Tuttavia, analoghe considerazioni non sono state spese con riferimento al secondo provvedimento, pure annullato in precedenza dal giudice, con cui, invece, l’Amministrazione ha negato con assolutezza la possibilità di derogare, in via eccezionale, al limite di tremila partecipanti a procedere selettive, nonostante in sede cautelare lo stesso giudice avesse chiaramente indicato, quale parametro di ragionevolezza, la enucleabilità all’interno del provvedimento commissariale della possibilità di una, sia pure circostanziata, derogabilità alle disposizioni dal medesimo approntate in presenza di singole fattispecie che evidenziassero la presenza di particolari presupposti. In questo caso, non è apparsa al TAR giustificabile la decisione di non esaminare la richiesta della ricorrente, ancorché circoscritta all’espletamento di (sole) due procedure volte all’assegnazione della sede di svolgimento del concorso notarile e dell’esame di abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Roma, il cui svolgimento era previsto nel corso del 2012, nonostante l’affluenza dei partecipanti preventivata fosse di poco superiore al limite imposto e per una durata temporale assai circoscritta. Pertanto, l’atto di diniego, illegittimo per come accertato dal giudice che lo ha annullato, è stato assunto in assenza di alcuna considerazione dell’invito formulato in sede giurisdizionale nel presupposto che fosse garantita una lettura conforme ai principi costituzionali dell’ordinanza commissariale, con evidente colpa dell’Amministrazione per non aver proceduto alla valutazione delle circostanze rappresentate ai fini di una possibile deroga al tetto massimo ivi fissato. Il Tar ha così ritenuto sussistere, entro tale limite, un danno ingiusto e meritevole di ristoro, consistente nella perdita patrimoniale che ne è conseguita (vale a dire il mancato guadagno), e direttamente connesso al diniego poi annullato.

Mattia Murra

(26 giugno 2019)

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